4 aprile 2008

Religione, politica e l'eredità del doctor King

Martino Mazzonis
In America religione e politica si intrecciano in mille forme diverse: il leader della lotta per i diritti civili e gli incappucciati che impiccavano i neri agli alberi erano - e spesso sono - animati dal discorso religioso. La sinistra democratica afroamericana è religiosa come lo è la destra che si domanda se votare il repubblicano McCain che non è abbastanza netto sull’aborto. La religione e il reverendo King sono già entrati due volte nella campagna delle primarie democratiche del 2008. E parlando di MLK si parla di razza come non lo si faceva dai tempi dei diritti civili. Non è un caso.
Nei suoi discorsi, Barack Obama ripete spesso che la sua conversione al sociale negli anni di Chicago è passata per la sua conversione al cristianesimo nella chiesa del reverendo Jeremiah Wright. Grazie alla sua religiosità Obama ha conquistato diversi voti bianchi in qualche Stato dove il suo essere un candidato nero e più o meno liberal non è un buon lasciapassare. Per colpa dei sermoni di Jeremiah Wright, Obama è poi finito sotto il tiro incrociato dei clintoniani e dei repubblicani. In entrambi i casi Obama ha fatto ricorso all’eredità del “doctor King”. Parlando nella chiesa dove predicava, la Ebenezer baptist church di Atlanta il 21 gennaio, prima delle elezioni in South Carolina e a Philadelphia, il 18 marzo, quando era alle spalle al muro e le frasi sull’11 settembre del reverendo Wright (God damn America, Dio maledica l’America)passavano ogni minuto su Fox news, il canale più trash e di destra del palinsesto americano.
Ad Atlanta Obama ha parlato davanti a una platea nera, che faceva “yeah" a ogni frase con riferimenti religiosi. Erano i giorni del voto nel Sud, quelli in cui si diceva che Obama non era abbastanza nero - mentre Bill Clinton, si scherza spesso, è il primo presidente nero d’America. Quel discorso era per i neri: Obama parlava di unità, della sua identità meticcia e del lascito del reverendo.
Quel giorno Obama parlava dei muri che devono venire giù e che per abbatterli serve unità, come nella Gerico del libro di Giosué, un tema caro agli evangelici, un gospel tra i più famosi (“Joshua fit the battle of Jerico”). Il tema era ed è di quelli duri, difficili da masticare e indigesti alle comunità e alla politica americana. “Non possiamo credere che l’unità e la riconciliazione razziale sia facile, che se cacciassimo i demagoghi i nostri problemi sarebbero risolti" diceva Obama. "Ci sono barriere strutturali e istituzionali per il lavoro decente e la salute per tutti. L’unità comincia cambiando i nostri cuori e le nostre menti". E ce n’è anche per gli afroamericani: "Dobbiamo essere onesti: la nostra comunità non è sempre nel solco del dottor King. Abbiamo disprezzato i gay, a volte siamo antisemiti e spesso pensiamo agli immigrati come gente che ci ruba il lavoro". King insomma diventa il luogo da cui Obama trae l’ispirazione per il suo discorso sull’unità.
Poi c’è stata la vicenda del reverendo Wright, il guru spirituale di Obama, quello che lo ha sposato con Michelle e ha battezzato le sue figlie. Per difendersi il senatore ha rilanciato, tornando sulla questione di razza, religione e politica in maniera scomoda, approfondendo alcuni temi che aveva affrontato ad Atlanta. Ma nella chiesa di King giocava in casa, a Philadelphia tutto era diverso, era l’unica settimana in cui Obama sembrava essere sul punto di perdere. Nel discorso di Philadelphia c’è la macchia dello schiavismo nella costituzione e c’è la disobbedienza civile. “Vorremmo continuare quella strada, per un America più giusta e prospera. Abbiamo storie diverse, non ci assomigliamo fisicamente, ma dobbiamo avere un obbiettivo comune". Obama attacca anche su Wright: "Sapevo cosa dice il pastore? Certo! Quel discorso è sbagliato perché divide in un momento in cui c’è bisogno di unità: guerre e recessione non sono roba da bianchi, neri o ispanici. Ma io amo la mia chiesa perché c’è la comunità nera: il medico e la donna che vive di buoni pasto, lo studente modello e il membro della gang; ci sono l’intelligenza e l’ignoranza, l’amore e l’amarezza che costruiscono la vita degli afroamericani". Il problema di Wright, secondo Obama, non è che ha parlato di razzismo, ma che immagina di una società statica. I commentatori si sono schierati e divisi: “Non ha condannato abbastanza", "Ha detto quel che doveva". La questione è un’altra: il video di "A more perfect Union", così si intitola la prolusione, è già stato visto da quattro milioni di persone su Youtube. E tutti dicono che per il suo essere coraggioso e scomodo, questo discorso sembra un sermone di Martin Luther King.
L’effetto del discorso di Philadelphia è stato quello di far tornare il tema della razza al centro della scena politica. E visto che si avvicina l’annversario della morte del reverendo a Memphis, predicatori, politici e studiosi afroamericani parlano di King e Obama. Otis Moss III, il pastore che ha preso il posto di Wright alla Trinty church di Chicago parlando alla televsione pubblica ha detto: "Credo e spero che questa campagna serva a rompere gli steccati, che gli evangelici comincino a parlare di ambiente e povertà come temi religiosi, ad andare oltre le certezze di ciascuno". Un po’ King, un po’ Obama. Harry Jackson la vede diversamente: riconciliazione razziale e giustizia sociale vanno assieme alla lotta contro l’aborto. “Le fondamenta del lavoro di King", sostiene, "erano bibliche e oggi sarebbe un conservatore sociale". Al suo opposto Lennox Yearwood, pastore militante che ha fondato l’Hip-hop caucus: "Abbiamo ancora a che fare con razzismo e povertà e spendiamo più soldi per guerra che per programmi sociali. La nostra è la generazione della speranza per il XXI secolo, l’Iraq è il nostro Vietnam e Katrina è la nostra Birmingham (il luogo del razzismo per eccellenza). Oggi leggiamo King solo con il suo “I have a dream”. Ma King era un radicale". Lewis Baldwin, che insegna Studi religiosi crede che sia proprio la religiosità di King ad aver dato forza al suo messaggio politico: "C’era sempre l’idea che qualcosa di soprannaturale stesse dietro al movimento".
Tutti vogliono essere King. Come spiega Cheryl Sanders, professoressa di Etica cristiana alla Howard university: "Tutti parlano di King e trovano argomenti per dire che starebbe con loro". Sanders parla anche di politica: "Spero che la gente non voti Obama per il colore, ma per come parla di razza e religione. Non dice piccole cose per piacere ai religiosi, ha una visione religiosa delle cose. Anche io mi sento offesa da alcune delle parole di Wright, ma la verità è che c’è discriminazione razziale in questo Paese ed è da la che vengono quelle parole". Peserà questo dibattito acceso sull’eredità di King? Verrà dimenticato come un passaggio qualsiasi della campagna elettorale? Oppure siamo alla vigilia di una trasformazione radicale come quella che Marthin Luther King contribuì a forgiare assieme a Malcolm X ed altri leader? Lo scopriremo a novembre e - se Obama verrà eletto - negli anni successivi. Come ha scritto Alice Walker, l’autrice de «Il colore viola» in un articolo di appoggio al candidato: “Questo Paese è in tale stato che anche se Obama diventa presidente sarà oltre i suoi poteri rimetterlo in sesto". In politica si ha la tendenza a personalizzare e per la comunità afroamericana il dottor King e il senatore Obama sono bandiere. Ma a entrambi sono servite e - semmai - serviranno le energie di coloro a cui volevano e vogliono garantire più diritti.

Nessun commento: