22 aprile 2008

L'ultima spiaggia di Clinton (l'ennesima)

Pittsburgh e Philadelphia, le industrie chiuse di acciaio e carbone e le terre coltivate che hanno un'anima conservatrice, le ascendenze nord europee ed una città, “Philly" come la chiamano, più cosmopolita e mista del resto dello Stato. Sondaggisti e strateghi da settimane si affannano per leggere in controluce la società e la politica della Pennsylvania, nuovo giro di boa delle primarie democratiche. Si è detto già altre volte: questo è un appuntamento decisivo, per Hillary Clinton è un'altra ultima spiaggia. E' probabile che superi anche questa, la composizione del voto democratico nello Stato (e i sondaggi) le danno un certo vantaggio. Il distacco di Barack Obama nelle intenzioni di voto rilevate dai sondaggisti però si è assottigliato: gli ultimi pubblicati regalano alla senatrice un vantaggio di tre cinque punti. Molti analisti concordano che un distacco ridotto sarebbe doloroso per Hillary perché non le consentirebbe di ridurre il ritardo accumulato nella conta dei delegati alla convention democratica di Denver ad agosto. La chiave di tutto saranno i maschi bianchi, come altre volte le donne bianche favoriscono Clinton in maniera abbastanza chiara e tutti gli afroamericani stanno a stragrande maggioranza con la loro speranza - così almeno ci racconta un sondaggio della Temple University di Philadelphia.
Ad oggi i numeri dicono +141 per il senatore nero dell'Illinois, +164 se si prendono in considerazione i superdelegati, eletti e dirigenti che partecipano di diritto. Negli ultimi mesi un numero crescente di questi pezzi grossi del partito hanno scelto di schierarsi con Obama, contribuendo così ad assottigliare la pattuglia di indecisi e riducendo al minimo il vantaggio di Clinton su questo terreno. Un vantaggio che a gennaio era ritenuto incolmabile da qualsiasi osservatore della politica statunitense.
Per questo la Pennsylvania è importante, dopo questo grande Stato che elegge molti delegati le cose potrebbero essere finite. Oppure no, è già successo nei mesi passati. E per questo le ultime settimane di campagne sono state tanto aspre, i toni cattivi, le polemiche accese. Negli ultimi due giorni gli spot Tv di entrambi sono cattivissimi, uno accusa l'altra di prendere soldi dalle lobby mentre la senatrice risponde con l'accusa di essere uno che parla contro il sistema che ci si trova bene dentro. La novità sta nell'aggressività di Obama, non viceversa. ha dichiarato David Axelrod, stratega del senatore. E poi dalle primarie in Mississippi sono passati quaranta giorni, la pausa più lunga era stata di due settimane. Gli elettori hanno avuto tempo per riflettere, i media hanno potuto sezionare i candidati, le polemiche esplodere ed essere digerite. Dopo questo voto, insomma, si capirà che tenuta ha Obama contro quegli attacchi duri che saranno il suo pane contro McCain nel caso diventi lui il candidato come ieri è arrivato ad auspicare il Financial Times (). L'editore di destra e crociato degli scandali anti Bill, Richard Mellon Scaife, ha invece scelto Hillary.
La Pennsylvania ha anche un valore nazionale, ci dirà se stiamo assistendo ad un cambiamento epocale. Da queste parti, infatti, abita il tipico elettore che negli anni 80 ha lasciato il partito democratico per diventare parte del tifone reaganiano, consolidandone la base. Classe lavoratrice bianca in crisi di identità, conservatrice sul terreno morale, che ha abbracciato la formula patriottica, moralista, della liberalizzazione e del meno tasse. La crisi del partito democratico, una certa mancanza di idee rinnovate, capaci di parlare a quel momento storico, l'assenza di leader carismatici ha spostato fasce prodigiose di elettorato. Era appena successo in Gran Bretagna e in forme diverse sarebbe successo ovunque. Bill Clinton ha saputo spezzare il ciclo, ma non dare una prospettiva nuova ai democratici. Dopo un mandato si è trovato un Congresso a maggioranza repubblicana e si è spostato progressivamente a destra. Poi Bush figlio ha portato in dote la mobilitazione degli evangelici, una loro partecipazione al voto massiccia e determinante in diversi Stati.
Erano i “Reagan democrats" e a novembre la scommessa democratica è di farli tornare all'ovile. Un ritorno alla partecipazione, all'iscrizione al voto e al volontariato si è già visto altrove, anche in diversi Stati tradizionalmente rossi (è il colore del Grand Old Party, i repubblicani) e anche in Pennsylvania la tendenza è questa. Nel 2002 i democratici registrati al voto furono 3 milioni e 200 mila, seicentomila in meno dei repubblicani, oggi sono 4 milioni e 200mila, un milione in più. Anche in contee rosse crescono i blu. Nel 2004 qui vinse Kerry, e i numeri sembrano dire che i Reagan democrats non ci sono più. La presenza di quella tipologia di elettore favorisce Hillary Clinton che fino ad oggi ha vinto in New Jersey e Ohio, Stati a maggioranza bianca con caratteristiche simili. Obama dovrà cercare di rosicchiare punti tra quell'elettorato e fare il pieno a Philadelphia e dintorni dove vivono più giovani (lo Stato è “vecchio", altro vantaggio per Hillary), più laureati, e una popolazione afroamericana che fa più del 40% della città. L'afflusso di nuovi elettori, immigrati nello Stato o giovani, è una buona notizia per lui. E', come sempre, una questione di coalizioni, di gruppi sociali, comunitari e più spesso una sovrapposizione delle due cose.
Classe e razza. Il reverendo Wright, controverso pastore di Obama e i commenti dello stesso senatore sulla popolazione sui lavoratori delle piccole città industriali in declino che per ritrovare speranza si aggrappano a croce e fucili. A parte il fatto che con altri fattori in gioco il ritorno alla tradizione di queste settimane ricorda qualcosa agli italiani - e perché no, al Pc francese che si ritrovò incalzato nei suoi bastioni del Nord non dai socialisti ma da Le Pen - l'analisi (fatta in privato) di Obama e la retorica a tratti eccessiva del suo padre spirituale sono diventati l'arma in più di Clinton. Di Sanità, Iraq, tasse e crisi economica la gente ha già sentito parlare per mesi e sono le notizie fresche quelle che possono condizionare un voto. E di questo si è parlato nel dibattito Tv di venerdì scorso, seguito da polemiche furiose contro i conduttori della Abc da parte dei giornali progressisti che fanno il tifo per Obama. Per giorni si è discusso sui media se il ragionamento del senatore afroamericano fosse offensivo, se fosse giusto. ha attaccato spesso Clinton nei suoi comizi. L'ex first lady qui, come già in New Jersey e Ohio, conta sui tempi d'oro della presidenza del marito, su una popolazione rurale e lavoratrice che non va pazza per l'idea di votare un nero e vede meglio la continuità democratica che non il cambiamento radicale - e a tratti vago - disegnato da Barack Obama. Contro il senatore si è scagliato anche McCain, che vuole continuare a sfruttare la sua immagine di semi indipendente nel partito per attrarre a sé il voto di alcune aree sociali bianche nel caso il nominato democratico fosse il senatore dell'Illinois. La vicenda del reverendo Wright è più vecchia ma segnerà anch'essa questo voto: a Philadelphia Obama ha tenuto il suo discorso sulla razza proprio per schivare gli attacchi e rilanciare in avanti. La sintesi politica stretta di un lungo testo di tono alto è: in America il problema della razza esiste, le asprezze e la rabbia del reverendo sono il bagaglio di una generazione presa a bastonate nella stagione dei diritti civili. La mia storia racconta che possiamo superarlo, anche per questo sono candidato.
Anche Hillary ha avuto i suoi piccoli guai in questa lunga pausa senza voti. Mark Penn, consigliere del marito e mente della sua campagna ha lasciato dopo mesi di polemiche interne. I superdelegati hanno continuato ad accumularsi nella bisaccia di Barack. Una sua battuta su MoveOn - organizzazione a rete che raccoglie fondi e lancia campagne, schierata con Obama dopo un referendum on line tra gli iscritti - e sui liberal ad una cena per raccogliere fondi susciterà la rabbia dei milioni di progressisti che stanno donando a Obama e potrebbero non darsi da fare per lei. E poi è e resta indietro e il suo argomento sulla non eleggibilità del suo avversario non regge alla prova dei sondaggi - e a quella degli Stati bianchi dove Obama ha vinto.
La chiave del voto in Pennsylvania sta tutta nella capacità di Obama di rispondere ai temi che lo hanno investito. Quanti lavoratori amareggiati sarà riuscito a convincere che il suo era un commento analitico e non una forma di disprezzo. Che i fucili e la croce non sono qualcosa di sbagliato in sé ma rischiano di diventare una trappola, un rifugio senza prospettive? Nessun candidato per qualsiasi piccolo incarico, se non forse in qualche quartiere di New York e San Francisco potrebbe sostenere il contrario e sembra che i gun owners, i possessori di fucili stiano uno contro due con la senatrice (sulla stampa sono apparsi articoli che ricordano l'attività per il gun control, la limitazione alla circolazione di armi da parte di Obama). Se il venditore di speranza avrà fatto bene i suoi compiti la corsa sarà finita e un outsider diventerà candidato alla Casa Bianca. Un fatto tanto storico quanto il fatto che il 45enne senatore non abbia il faccino rosato dei nord europei. Se il messaggio di Obama avrà funzionato in parte, perderà di poco e farà un altro passo verso la nomination e su Clinton le pressioni per lasciare aumenteranno ancora. Se Hillary dovesse vincere con dieci punti di vantaggio, aspettatevi i fuochi d'artificio. Che spesso bruciano le mani alla parte che ci gioca e avvantaggiano il vecchio McCain che aspetta sulla riva del fiume.

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