20 giugno 2009

La partita a scacchi di Obama

Il giugno del 2009 è un altro mese memorabile della saga obamiana, nel “primo anno dell’era della responsabilità”. Il richiamo alla responsabilità collettiva e individuale, contro l’avidità senza scrupoli della “solita Washington” e della “solita Wall Street”, è uno dei temi ricorrenti della comunicazione presidenziale: il riferimento era presente nel discorso del Cairo del 4 giugno (rivolto a tutti gli attori coinvolti nella politica mediorientale, e in primo luogo a Israele e Palestina), nel documento che l’altro ieri ha accompagnato la proposta di regolamentazione del sistema bancario americano, lo sarà – con un richiamo diretto al suo popolo – il 27 giugno, giorno della mobilitazione nazionale a favore della riforma del sistema sanitario (fatto più unico che raro, questo presidente sta trasformando il partito democratico in un’organizzazione non solo elettorale attraverso lo strumento di “Organizing for America”).
In questi due giorni si è scatenata l’analisi a proposito di quello che l’amministrazione Usa e molti quotidiani americani hanno definito come “l’intervento di regolazione del sistema finanziario più importante dagli anni ’30 a oggi”. Un’affermazione che risponde a verità, se si considera come da allora il trend sia stato quello della deregolamentazione. Quindi, il primo passaggio è di natura ideologica: nell’assegnare alla Federal Reserve nuovi poteri di controllo sull’attività bancaria - la misura più osteggiata dagli oppositori della riforma – si ristabilisce il criterio del primato della regolamentazione su quello della finanza creativa e deregolamentata. Altrettanto ideologica – e speriamo anche fattuale - la scelta di creare un’agenzia di controllo a difesa del consumatore (la Consumer Financial Protection Agency, CFPA) che avrà poteri normativi in materia di carte di credito e mutui, le grandi fonti di ansia della vita di un cittadino medio. Chi accusa Obama di timidezza e propensione per il compromesso al ribasso ha le sue ragioni: non è stato riportato in vita il famoso Glass Steagall Act del 1933 – abbattuto da Clinton dieci anni fa – che impediva alle banche commerciali di trasformarsi in banche d’investimento e/o assicurazione. La fusione di queste due funzioni è stata una delle cause scatenanti della crisi del 2008 e di quella degli anni ‘20.
Questo piano, ancora una volta, mostra come Obama sia stato allevato nella dura scuola del realismo politico (i natali politici di Chicago hanno lasciato questo imprinting) ma anche a quella del progetto, del grande disegno: da un lato abbiamo una proposta di riforma che rappresenta un compromesso frutto di innumerevoli trattative; dall’altro si manifesta la volontà di ristabilire criteri e modalità di intervento pubblico che riportino lo stato al centro del processo politico, come garante dell’interesse generale. Quello che va compreso è che assistiamo a un’unica, gigantesca, partita di scacchi tra il governo e i grandi settori dell’industria privata, quelli che hanno letteralmente dominato l’agenda politica del paese per trent’anni. Obama vuole, senza alcun timore di fare compromessi anche importanti, riprendere in mano quell’agenda. Le grandi banche d’investimento sostengono il presidente, in cambio di una ristrutturazione del sistema finanziario non troppo pesante (e hanno i loro uomini nell’amministrazione); sono disposte ad aiutarlo, ma sanno che la notte non è passata e sanno che Obama può chiedere molto, come è avvenuto per l’accordo Obama-Fiat: lì il presidente ha imposto alle grandi banche creditrici verso Chrysler di accettare 28 centesimi per ogni dollaro che avrebbero potuto esigere. Perché lo hanno fatto? Perché dipendevano da Obama per la loro sopravvivenza, per via del denaro messogli a disposizione dall’amministrazione.
Cosa accadrà con la riforma sanitaria? Quali leve potrà usare Obama? Anche lì si muoverà con la logica del divide et impera, costruendo un’asse di compromesso con chi ci sta e cercando di schiacciare chi si oppone, come è avvenuto con i fondi pensioni che hanno provato ad avere indietro tutti i soldi investiti nel mondo Chrysler. E’ il grande ritorno della politica, persino nelle sue forme più barocche, come gli ormai celebri inviti alle cene a palazzo rivolti agli oppositori di Obama (comunque ben più sobrie di quelle italiane); ma anche attraverso strumenti tradizionali come la creazione di organizzazioni di massa - il già citato Organizing for America, i cui membri possono premere a livello locale sui Congressmen democratici più riottosi o poco disposti ad appoggiare la proposta di riforma; o persino attraverso la riscoperta della disciplina di partito, visto che il capo dello staff della Casa Bianca – Rahm Emanuel – è espressamente preposto al controllo dell’attività dei membri del Congresso. Il numero dei tavoli sui quali si sta giocando e l’importanza delle partite in corso dà la misura dell’ambizione dell’uomo.

("L'altro", 19.06.09 - Mattia Diletti)

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