18 marzo 2008

La forza dei democratici, le strategie e i danni del triangolo

Gli aggettivi sulle primarie democratiche si sprecano. Il partito democratico ha diversi buoni motivi per fregarsi le mani in vista delle elezioni di novembre. Se non fosse per il guaio che pur avendo in Hillary Clinton e Barack Obama due candidati di prima grandezza, non gli riesce di sceglierne uno. Come e quando i democratici riusciranno a prendere una decisione sarà determinante per far tornare uno di loro nello studio ovale della Casa Bianca e ottenere una maggioranza significativa in Congresso.
Sono passati quasi tre mesi dal voto in Iowa, quando Obama spiazzò l'establishement del partito e i commentatori e Clinton arrivò terza. Da allora i senatori duellanti hanno raccolto più soldi che mai per le loro campagne e, con molte primarie ancora da fare, sono i candidati più votati della storia avendo superato entrambi i 12 milioni di consensi - Bush è terzo con 10 milioni, ma dominò le primarie nel 2000. Alla corsa democratica hanno partecipato più giovani, più donne, più latinos, più afroamericani che non nel 2004. Ci sono Stati in cui il voto di una di queste categorie, o quella degli indipendenti - ci si registra al voto dichiarando le proprie preferenze politiche - può far vincere sia la presidenza che seggi al Congresso. Quel che più fa sorridere il partito riorganizzato da Howard Dean è che la tendenza a raccogliere più voti tra giovani, neri, donne e ispanici sembra essere consolidata: tra presidenziali del 2004 ed elezioni di medio termine del 2006 il voto delle donne è salito del 4%, quello dei giovani del 5, dei latinos del 14. Consolidando la propria presa e l'alta partecipazione su questi segmenti e mantenendo il proprio elettorato tradizionale, i democratici possono sperare di fare grandi cose a novembre.
Il fatto che tra gli elettori democratici ci siano anche più persone con un reddito superiore a 100mila dollari ha fatto dire a diversi osservatori che è la composizione sociale della coalizione democratica che sta cambiando: il voto dei maschi bianchi sindacalizzati sarebbe a rischio. Specie contro uno come McCain, che è un outsider nel suo partito, ha forti credenziali in materia di sicurezza e politica estera ed è un maschio bianco che parla schietto. L'osservazione è giusta se si guarda ai redditi e alla categoria sociale solo mentre si osservano i bianchi. Afroamericani e latinos sono lavoratori e disoccupati e non votano solo o necessariamente in base al colore della loro pelle.
La faccenda che toglie il sonno all'establishement del partito è il rebus su come risolvere la battaglia tra Obama e Clinton per la nomination. Tutto sembra far pensare che lo scontro si concluderà alla convention di Denver ad agosto. Un'ipotesi che l'ex governatore di New York Mario Cuomo ha definito «rovinosa». Se si arrivasse davvero all'estate avremmo altri mesi di colpi bassi e fango. Altre allusioni al «candidato nero» come quelle di Bill Clinton o Geraldine Ferraro potrebbero far crollare la partecipazione afroamericana nel caso Hillary venisse nominata alla convention grazie al voto dei 795 superdelegati - 350 dei quali non è ancora schierato. Questo potrebbe far perdere Stati come la Virginia che nel 2004 hanno votato per Bush dove i democratici sperano di farcela. Clinton può sostenere una tesi simile a suo favore parlando della necessità di ripetere le primarie in Florida, per non umiliare uno Stato a rischio - il voto di quest'anno è stato invalidato perché tenuto troppo presto, contro le regole del partito.
La scelta dei superdelegati verrà anche a partire da considerazioni come queste e le due campagne stanno facendo di tutto per trovare argomenti a loro favore. Obama è in vantaggio per numero di voti (anche tenendo conto di Florida e Michigan), per numero di Stati e, quel che conta, per numero di delegati. Clinton ha vinto in più Stati grandi e raccoglie i consensi dell'elettorato democratico tradizionale.
E allora conta più l'Ohio o la Virginia? Il tentativo di conquistare qualche Stato del Sud come teorizza Obama o la necessità di consolidare quello che c'è? La prima ipotesi è una scommessa sul futuro, la seconda è quella sulla quale si giocano le presidenziali da decenni. E su chi si può contare per costruire una solida maggioranza? I giovani e i latinos o la base in crisi di identità degli Stati industriali? I democratici hanno una grande opportunità di mettere tutti assieme inventando un'ipotesi per il futuro americano che faccia uscire il Paese dalle secche politiche ed economiche in cui l'ha portato la maggioranza conservatrice che domina la scena politica dal 1968. Obama, con i suoi appelli al cambiamento e l'ossessivo richiamo alla partecipazione dal basso è sicuramente messo meglio per incarnare il domani. Clinton avrebbe bisogno del sostegno del senatore dell'Illinois e di prendere le distanze dagli anni del marito (che le portano i voti dell'elettorato tradizionale). Come che vada i democratici devono sbrigarsi a trovare una faccia che li rappresenti. I repubblicani, con la loro guerra e i loro tagli alle tasse per i ricchi guardano al passato. Ma McCain ha il tempo dalla sua per provare a raccogliere i voti dei bianchi democratici spaventati dal futuro. Quelli che mai e poi mai voterebbero per il negro e la puttana.

(Martino Mazzonis)

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