17 marzo 2008

Era il partito, bellezza.. La crisi della coalizione conservatrice

«It's the Party, stupid!» poteva essere lo slogan dell'artefice delle vittorie elettorali di George W. Bush, Karl Rove. Il cosiddetto "boy genius" della destra conservatrice - che a quanto pare sta tornando in pista con McCain - aveva capito poche, semplici cose: per vincere le elezioni servono idee, soldi, militanti, giocare sporco e qualcuno che sappia leggere le statistiche elettorali. E poi l'attimo fuggente che, se colto, trasforma le grandi crisi in opportunità politiche. E l'11 settembre è stato il capitale politico della destra Usa, come la Grande Depressione lo fu per i democratici. Rove ha fatto propria l'esperienza di Reagan, godendo delle intuizioni politiche della generazione di conservatori formatasi negli anni '70 all'ombra di Richard Nixon - ma anche contro, nel caso della politica estera. Il ciclo elettorale dei conservatori si aprì con la vittoria alle presidenziali del '68, mentre il partito democratico cominciava a cambiare: la vecchia coalizione del New Deal di Roosevelt (sindacati a nord e notabilato razzista a sud) era in via di disfacimento, la Great Society di Lyndon Johnson in panne e il disastro del Vietnam manifesto.
Di Nixon molti conservatori parlano male, e non a causa del Watergate: feroce a parole contro i liberal, avrebbe avuto la colpa di perpetuare le politiche stataliste e assistenziali ereditate dai democratici. In realtà Nixon, un politico tanto abile quanto ossessionato e paranoico, aveva un obbiettivo: costruire una coalizione conservatrice che prendesse il posto di quella democratica e aprisse un ciclo repubblicano, come non avveniva dalla Grande Depressione. Per questo servivano le idee - le fornirono i think tank fondati negli anni '70 per costruire egemonia culturale - e una base elettorale nuova. I think tank potevano garantire che i "quadri" repubblicani elaborassero il pensiero conservatore, preparando il terreno per la prossima battaglia politica; la base elettorale doveva essere costruita attorno a una coalizione di gruppi sociali nuovi che avrebbero dovuto identificarsi con il partito repubblicano.
Anzi, essi dovevano divenire l'asse costituente del partito: i religiosi - gli evangelici, che per la prima volta subivano un inquadramento politico su così larga scala - e quelli anti-tasse, la classe media che negli anni '70 sentiva cadere sulle proprie spalle la crisi economica. La grande ondata di vittorie elettorali conservatrici del dopo Watergate prende avvio proprio da un referendum anti-tasse - il Proposition 13 - che si tenne in California nel 1978. Quasi tutto l'establishment politico dello stato si schierò contro il referendum, che ottenne invece il 65% dei consensi: era l'inizio di un'ondata populista di destra a guida della quale si pose Ronald Reagan negli Stati Uniti.
Il partito repubblicano rappresentava una classe imprenditoriale arrembante e cannibale che si rafforzava soprattutto nel sud e nell'ovest del paese; al tempo stesso era divenuto il partito della Bibbia, degli evangelici e dell'incarnazione della nuova missione civilizzatrice degli Stati Uniti, il Bene assoluto contro il Male assoluto, l'Unione sovietica. Una grande narrazione collettiva che sostituiva l'ammaccato progressismo americano: a Washington un centro ideologico, capace di controllare la macchina federale tramite il presidente e di disciplinare il messaggio del partito e dei suoi eletti; nella periferia gruppi di interesse alleati in modo (quasi) definitivo con i nuovi conservatori alla Reagan o alla Newt Gingrich, il grande oppositore di Clinton negli anni ‘90. Il sogno di Gingrich, e poi di Rove, era quello di rendere la coalizione reaganiana permanente attraverso il mezzo del partito, uno strumento che in America era stato considerato morto e sepolto.
In un paese dove si vota poco e si vince con scarti anche minimi come gli Usa, conta mobilitare uno zoccolo duro che trascina tutti gli altri, e su questo Rove aveva costruito la fortuna dei repubblicani e aveva contribuito ulteriormente alla polarizzazione ideologica dell'elettorato. Una struttura che potrebbe persino reggere l'urto di Obama o di Clinton, ma che non sembra in grado di reagire ai problemi americani dell'oggi. Incredibile a dirsi solo tre anni fa, quando una nuova era conservatrice sembrava emergere dalle statistiche elettorali e demografiche. Oggi, queste sembrano favorire i democratici, anche se un nuovo paradigma culturale e politico è ben lungi dall'affermarsi. Aspettando di vedere come andrà a finire, godiamoci il corto circuito della coalizione conservatrice.

(Mattia Diletti)

Nessun commento: