19 marzo 2008

I multi-kulti di Bush: i nuovi consiglieri del principe

L’ebreo di corte in Germania e i cristiani rinnegati dell’impero ottomano svolsero per i loro sovrani servigi impagabili. I centri di potere tradizionali – gilde, corporazioni e signorie – ostacolavano l’avvio del processo di modernizzazione dello stato, la creazione di una burocrazia nazionale e l’affermazione del mercantilismo; mentre Francia e Inghilterra avevano già istituito un sistema nazionale di imposizione fiscale la Germania combatteva contro i residui del feudalesimo. Solo chi era senza titoli, senza legami con la terra e con il passato poteva garantire la fedeltà di cui i principi avevano bisogno nella loro battaglia per la concentrazione del potere. L’ebreo di corte diveniva così elemento attivo a fianco del suo signore nel processo di trasformazione dell’economia e delle istituzioni. Nel 1972 Lewis Coser pubblica su "The American Sociological Review" un breve saggio dal titolo "The Alien As a Servant of Power: Court Jews and Christian Renegades", che appare in realtà un pretesto polemico per parlarci del suo presente. Scrive Coser:

con questi due esempi storici, gli ebrei di corte della Germania del ‘600 e i cristiani rinnegati dell’Impero ottomano all’apice del suo splendore, ho cercato di dimostrare che, ogni qual volta i sovrani intendano rafforzare la loro autonomia e si trovino di fronte a ostacoli posti dal sistema feudale o dalla burocrazia, tendono ad avvalersi dei servizi di gruppi che non hanno radici (alien groups rootless) nel paese che essi governano. Questi gruppi si piegano facilmente agli scopi del sovrano e divengono servitori ideali del potere. Lascio all’immaginazione sociologica del lettore l’evocazione di altri casi, del presente e del passato, in cui questo modello possa tornare utile.

Mentre scriveva Coser pensava a Henry Kissinger. Noi pensiamo a Condoleezza Rice, Alberto Gonzales e ai neoconservatori. All’interventismo di Bush sul piano internazionale si è affiancato quello sul piano interno: in entrambi i casi il modello di governo basato sull’onnipotenza dell’esecutivo e sull’accentramento dei poteri ha prodotto fratture e stravolgimenti, grazie anche a interpreti nuovi e inaspettati. Chi sono i neoconservatori? Chi rappresentano Condoleezza Rice e il nuovo segretario torturatore del Dipartimento di Giustizia Alberto Gonzales? A chi dobbiamo paragonarli? Va compreso se ci troviamo di fronte ai campioni della “Nuova America” di cui parla Huntington nel suo volume Who are we? e alla nascita di una nuova élite repubblicana e conservatrice, oppure se siamo di fronte semplicemente a un nuovo zio Tom, che questa volta si esprime anche in spagnolo.

I neoconservatori hanno appoggiato Bush nell’opera di riorganizzazione dell’universo simbolico e materiale che era stato scosso dagli attentati dell’11 settembre (come fece il brain trust di Roosevelt dopo la crisi del ’29). E allo stesso tempo lo hanno sostenuto affinché sfruttasse le condizioni eccezionali verificatesi allo scopo di mutare rapporti di forza ed equilibri istituzionali: a questo sono servite idee immediatamente spendibili e convincenti, in grado di superare le resistenze di burocrazie, istituzioni o gruppi che godevano di vecchie rendite di potere (tanto nell’arena internazionale che sul piano interno). In questi casi gli intellettuali si rendono utili nel legittimare la ricerca di nuovi equilibri e divengono il migliore degli alleati: regalano idee innovative ma sono sacrificabili se il loro progetto di cambiamento si dimostra destinato al fallimento. Il potere degli alien groups descritti da Coser dipende inoltre dalla volontà del principe di dargli ascolto: egli può fare a meno di loro e non il contrario. Gli intellettuali neoconservatori assomigliano all’ebreo di corte e al cristiano rinnegato: se incolpati dei fallimenti della politica estera e delle riforme dell’amministrazione Bush torneranno nei loro think tank o verranno relegati in posizioni di secondo piano, e in questo caso il paragone storico più adeguato sarà quello con i marxisti revisionisti polacchi che nel 1955 appoggiarono entusiasticamente Gomulka e dopo soli sei mesi si ritrovarono emarginati e isolati.

Alberto Gonzales rappresenta invece un luminoso esempio di consigliere del principe la cui vita è dedicata al proprio sovrano. Gonzales è nato povero, è figlio di immigrati messicani, è considerato un esempio per tutta la comunità latina da cui ogni anno riceve premi e onoreficenze. Gonzales si è sempre occupato per conto di Bush di giustizia e repressione, elementi fondamentali nell’opera di costruzione e rafforzamento di un potere esecutivo onnipotente e incontrollabile. Ai tempi del governatorato texano a Gonzales toccava stabilire quali richieste di grazia provenienti dal braccio della morte dovessero essere accettate, e si può immaginare quali siano stati i risultati. Così come i Bush Gonzales si è arricchito grazie alla Enron. Bush ha incaricato Gonzales di occuparsi delle questioni relative ai prigionieri afgani e iracheni e alla Convenzione di Ginevra. E’ divenuto ministro di Giustizia grazie a un’idea di Karl Rove (il boy genius che guida la macchina politica di Bush). Gonzales è Bush (e viceversa). E lo stesso si potrebbe dire oggi di Condoleezza Rice, che pure ha vissuto e vive anche di luce propria. Probabilmente sono tutti e due un po’ zio Tom e un po’ “nuovi americani”. Incarnano il counter-establishment conservatore che il partito repubblicano ha costruito con fatica in questi trent’anni in opposizione all’egemonia liberal degli anni ’60. Rappresentano una risposta americana ai rischi derivati dall’affermazione del relativismo culturale denunciati da Samuel Huntington:

"L’America era una nazione di persone con gli stessi diritti, che condividevano una cultura sostanzialmente anglo-protestante e rispettavano con convinzione i principi liberal-democratici del credo americano (…). Negli anni ’60 dei movimenti agguerriti cominciarono a mettere in discussione la rilevanza, la sostanza e la desiderabilità di questo concetto dell’America (…). Invitarono gli immigrati a mantenere la cultura del paese d’origine, garantirono loro dei privilegi legali negati agli stessi americani, e denunciarono l’idea dell’americanizzazione in quanto non-americana. Propugnarono la riscrittura dei libri di storia, in modo da fare riferimento ai “popoli” degli Stati Uniti, anziché al popolo unitario di cui parla la Costituzione (…). Rivendicarono il primato giuridico dei diritti e delle preferenze razziali dei diversi gruppi, sui diritti individuali posti al centro del credo americano".

Le preoccupazioni di Huntington e di altri riguardano non solo il rafforzamento di identità sub-nazionali all’interno degli Stati Uniti, a danno dell’integrità dell’identità americana, ma anche il predominio di nuove élite bianche che incarnano questa trasformazione della cultura politica e giuridica. Sembrava allora formarsi un unico fronte tra alcune élite politiche, intellettuali e istituzionali e i leader dei gruppi sub-nazionali di cui venivano promossi gli interessi. Inoltre i burocrati, i giudici e gli educatori svolgevano un ruolo fondamentale in questo disegno di “decostruzione” dell’identità nazionale. Gonzales+Rice+Bush rappresenta invece la riproposizione del vecchio modello di assimilazione al “credo americano”.

Sono stati per primi i neoconservatori a concentrare la loro analisi sugli attori sociali e politici fautori della rivoluzione culturale degli anni ’60, indagando sul ruolo dell’intellighenzia americana, definita "The New Class" (riprendendo, ironicamente, il titolo dell’opera più celebre di Milovan Gilas) o anche "The Knowledge Class" (Bell, 1981). La loro egemonia viene correlata all’espansione delle politiche di welfare e di intervento pubblico (che ne moltiplicava la presenza all’interno degli apparati burocratici e statali); il loro successo presso un’audience sempre più ampia alle trasformazioni socioculturali del paese; le loro capacità di influenzare le decisioni politiche alla loro abilità sul terreno della manipolazione simbolica. Si stabilisce chiaramente una correlazione tra interventismo statale e preminenza della cultura liberal (Lipset, 1981).

Data questa impostazione analitica, la battaglia politico-culturale dei neoconservatori e dei repubblicani si sposta su due fronti: la delegittimazione delle politiche di intervento pubblico e di welfare, e la costituzione di un counter-establishment conservatore in grado di competere con gli amministratori e gli specialisti di politiche pubbliche di orientamento liberal. Per i neoconservatori non si tratta semplicemente di costituire un nucleo di esperti e intellettuali attraverso i quali controbilanciare l’influenza della cultura progressista, ma è in gioco la salvezza stessa delle istituzioni e del sistema politico. Scrive Rita di Leo:


Nella versione dell’intellettuale conservatore la difesa del primato anglo-puritano è un grido di dolore. Nella versione della Casa Bianca è un programma ben preciso con obiettivi di medio e lungo termine. Il focus del programma è far tornare l’individuo solo e unico responsabile di se stesso all’interno delle varie comunità del suo spazio esistenziale: la fede religiosa, l’istruzione, il lavoro, la famiglia, la casa, le malattie, i consumi, il tempo libero, la vecchiaia. Questa è la proposta del vice presidente Dick Cheney: “Uno dei più grandi obiettivi della nostra amministrazione è aiutare più americani a trovare le opportunità di possedere una casa, di avere un piccolo business, un proprio piano sanitario e pensionistico. In tutte queste aeree la proprietà è la via per maggiori opportunità, maggiori libertà e più controllo sulla propria vita, e questo è un traguardo degno di una grande nazione. Tutti hanno il diritto di avere la chance di vivere il sogno americano, di farsi propri risparmi, aspirare alla ricchezza, avere un proprio gruzzolo per la pensione che nessuno ti possa portare via” (…) In agenda c’è un programma politico che usa la proprietà individuale come la scelta vincente per l’integrazione “dell’altra America” nella vecchia ("Gli Stati Uniti e la Casa Bianca di Bush")

Chi meglio di Condoleezza Rice e Alberto Gonzales potevano impersonare il ritorno ai vecchi valori americani? Le loro biografie servono a mostrare che in fondo le battaglie per i diritti civili hanno lasciato il segno anche nella cultura politica repubblicana, ma anche che si è scongiurata l’opera di decostruzione dell’identità nazionale avviata negli anni ’60. Nella loro ascesa l’opportunismo politico di Karl Rove e George Bush si fonde con l’ostinazione degli americani che hanno saputo vincere le avversità della vita. Chi può sapere meglio di un repubblicano del Texas come si tratta con gli ispanici?

Le menti più avvedute del partito repubblicano, a partire da William Simon (ministro dell’economia durante la presidenza Nixon), gli intellettuali genuinamente conservatori come Daniel Bell e Samuel Huntington e i neoconservatori come Jeanne Kirkpatrick e Irving Kristol si sono preoccupati del problema delle élite, della formazione del personale politico e della creazione di cultura politica. Gli ex-trotzkysti che hanno dato vita al movimento neoconservatore sono culturalmente ancora troppo legati e influenzati dalle loro radici europee, i loro figli sono finalmente espressione di una nuova cultura conservatrice veramente americana. Norman Podhoretz conosceva e frequentava Hannah Arendt, convertendosi al neoconservatorismo strada facendo; suo figlio John scrive sul New York Post ed è un americano impregnato al 100% di neo-populismo repubblicano fin dall’adolescenza.

Una nuova élite culturale conservatrice americana che doveva e deve rispondere alla crisi di una società malata di cosmopolitismo: dopo la defezione dei liberal dal fronte anglo-protestante è stata in grado di incontrare sulla sua strada parte di quelle élite espressione delle minoranze assimilate alla moralità dei coloni, secondo il modello che aveva funzionato per 300 anni.

In "Democrazia senza libertà" il rimpianto per il nobile paternalismo dei wasp giunge da Fareed Zakaria, un americano di origine indiana: l’ennesima prova del successo di Karl Rove, George Bush e dei neoconservatori nel opera di repackaging (secondo una felice espressione di Fabrizio Tonello) e di marketing dei valori tradizionali americani, ancora una volta (come all’epoca del Grande Risveglio) veicolati attraverso la religione. La crociata per la riamericanizzazione continua.

(Mattia Diletti - da "Posse", novembre 2005)

Nessun commento: