6 settembre 2009

Crisi, ripresa o cosa?

Non ci sono solo i governi a discutere di economia mondiale. Ieri a Cernobbio, all’incontro annuale promosso dallo Studio Ambrosetti c’erano diversi economisti di quelli che hanno parlato della crisi prima che questa sorprendesse tutti. C’era ad esempio Nouriel Roubini, diventato famoso per essere tra i pochi ad aver predetto la crisi con largo anticipo. Noto per il suo pessimismo, Roubini ha spiegato a Cernobbio, come fa ormai da mesi, che la ripresa, se è davvero partita, sarà ad “U” e non a “V”. Ovvero, sarà lenta e non una risalita veloce. Un’opinione condivisa dal fancese Jean-Paul Fitoussi, critico con l’Europa che non ha fatto abbastanza («E’ la più grande economia del mondo e aspetta di vedere cosa faranno gli altri»). Secondo Fitoussi i vari governi europei dovrebbero prendere a modello la Francia, che «ha il sistema di protezione sociale più forte ed è il Paese che oggi soffre molto meno degli altri gli effetti della crisi».
Il tema, per tutti, è quello di come e quando far smettere smettere di spendere le Banche centrali e le economie pubbliche. Come ha sostenuto il commentatore di Financial Times, Martin Wolf, i segnali di ripresa ci sono ma non c’è da nessuna parte una domanda che cresca: «Abbiamo un problema serio su come generiamo domanda per una produzione che cresce». Fermare l’intervento troppo presto, dunque, significa rischiare una recessione a “W”, con una ripresa spinta dalla spesa pubblica che cede il passo a una nuova recessione, quando questa smette. Il Nobel Joseph Stiglitz, parlando a Nouvel Observateur sostiene che anche il piano anti-crisi di Obama, che pure è spalmato su due anni, non basterà a rimettere in moto la domanda e che la crisi sarà davvero alle spalle almeno tra un paio d’anni.
Trovare l’equilibrio tra spesa e controllo del deficit è il prossim esercizio a cui dovranno dedicarsi gli economisti. Con un problema non secondario: con un lungo articolo sul magazine del New York Times in uscita domenica prossima l’altro Nobel Paul Krugman ricorda al mondo che la scienza economica non ha saputo in nessun modo prevedere quanto stava accadendo - in un numero recente anche The Economist poneva lo stesso problema. Il testo di Krugman è scritto in maniera magistrale come sempre ed è una critica alla teoria economica che ha dominato gli ultimi trent’anni. L’economista liberal insiste sulla necessità di tornare a guardare il mondo con le lenti di Keynes e prendere atto che il funzionamento dei mercati è tutt’altro che perfetto. E che la macroeconomia deve necessariamente cominciare ad analizzare la finanza per capire davvero come va il mondo e come affrontare le crisi ricorrenti.

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