4 novembre 2008

La democrazia che non ama il popolo

Uno spettro si aggira per l’America, lo spettro della socialdemocrazia. Negli ultimi giorni della campagna elettorale i repubblicani hanno scelto una delle parole utilizzate da Obama in questi mesi – redistribuzione – per descriverlo come un pericoloso socialista. Indirettamente si parlava anche della razza: ogni volta che di Obama si sottolinea la presunta diversità – è americano solo a metà, si chiama Hussein di secondo nome, è un’intellettuale, usa queste parole (“redistribuzione”) che hanno un sapore socialista, cioè una cosa non americana – si ricorda la sua alterità senza menzionarne il tratto fondamentale, il colore della pelle. Evocato un elemento di diversità, l‘associazione che gli elettori sono spinti a compiere è quella successiva, la più ovvia: Obama non è bianco come abitualmente sono i presidenti.

Torniamo allo spettro socialdemocratico. Nel denunciarne l’apparizione il più esilarante è stato il Wall Street Journal del 27 ottobre: Obama aumenterà le tasse per redistribuire ricchezza ma in realtà saremo tutti più poveri; aumenterà la regolazione dell’economia; i sindacati aumenteranno il loro potere. Votando per McCain, dice il columnist Pete Du Pont, si salverà “l’America dall’europeizzazione, il nostro popolo non perderà il denaro e il lavoro e il mercato resterà libero”. Come ci ricorda lo storico Eric Foner in un suo testo fondamentale, “Storia della libertà in America”, l’interpretazione del termine libertà è sempre stato oggetto di battaglie feroci e di vittorie, temporanee, di questo o quell’altro campo.

Il contenzioso ruota attorno a un concetto che è legato a doppio filo alla storia degli Stati uniti - un paese nato da una guerra di indipendenza, e quindi da un processo di liberazione - e che gli americani hanno utilizzato troppo spesso come fosse una clava. Altri storici hanno descritto con grande efficacia quanto il tema della libertà abbia accompagnato quello dell’espansione imperiale, come se quest’ultima fosse ritenuta indispensabile per mantenere la prima. Liquidare tutto questo con l’etichetta di “ideologia” sarebbe troppo facile, perchè questo concetto di libertà - e di democrazia - sono parte integrante di un processo di elaborazione culturale molto sofisticato, attraverso il quale gli americani rappresentano se stessi nel mondo.

Quale libertà e quale modello di democrazia il Wall Street Journal ritiene minacciata? E quale modello dovrebbe rappresentare Obama? Nel primo caso fin troppo facile pensare a quella di mercato di matrice neoliberista, ma si tratta in realtà di molto di più: la concezione di un uomo completamente autosufficiente e libero da legami, che sfrutta le interdipendenze solo in quanto opportunità economiche. “L’uomo nuovo” del capitalismo. La costruzione di questo uomo nuovo è fallita ancora una volta, squarciando il velo sulle macerie umane che essa ha creato.

Che sia un progetto vero, ingenuo, oppure di semplice opportunismo, Obama rappresenta oggi un movimento che va in senso contrario, verso l’inclusione sociale e politica. Un’impresa molto difficile perchè, va ricordato, la democrazia più antica del mondo è la più scrupolosa nel rendere impraticabili i diritti dei propri cittadini.

Fin dal principio le elite politiche americane si sono confrontate, con timore, con il problema del “popolo” e della sua emancipazione. La rivoluzione americana è stata prima di tutto l’emancipazione dei proprietari dallo sfruttamento della madrepatria, ma il carattere universalistico del credo americano è stato reinterpretato e utilizzato da ogni soggetto sociale a tutti i tornanti della storia: tanto dai gruppi più conservatori (soprattutto dai nemici del ruolo pubblico dello stato) che da quelli radicali che lottavano per l’uguaglianza e l’allargamento dei diritti civili. La Costituzione e la Dichiarazione d’indipendenza sono un canovaccio utilizzato, ancora oggi, da ogni forza politica e sociale.

Obama, fin dal principio, ha cercato nell’allargamento della base politica di consenso - sua e del partito democratico – la chiave per tentare di raggiungere la presidenza. Gli Stati uniti sono un paese dove si scoraggia la partecipazione politica (nelle presidenziali del 2004 ha votato solo il 55% degli americani), attraverso gli strumenti più disparati. Per questo la campagna elettorale di Obama è divenuta strumento per l’inclusione politica di gruppi altrimenti marginalizzati: la loro partecipazione al voto è la sua assicurazione sulla vita (politica). Non si tratta di un’impresa semplice, visto che razza di democrazia dell’esclusione è quella americana.

Basti pensare al sistema della procedura di voto - anzi, ai mille sistemi locali - un misto di elementi arcaici, anti-democratici e persino di pura truffa e intimidazione. Il sistema della registrazione individuale al voto, così tanto discusso, è lo scoglio principale. Votare diventa un’operazione complicata che favorisce chi ha soldi, tempo e cultura per farlo e per interessarsi alla politica. Questo sistema nacque agli inizi del ‘900 (prima votava quasi il 90% degli aventi diritto) insieme ad altre riforme nefaste come l’invenzione delle primarie, ideate per indebolire le macchine di partito – piuttosto corrotte - che del voto erano il motore. Da allora si è creata a tavolino una democrazia tagliata su misura per un americano medio - moderato e con quel tanto di soldi in tasca da non doversi lamentare - che vive più nei manuali di sociologia e scienza politica che nella realtà complicata degli Usa. E infatti in America non si vota: alle elezioni di mid-term del Congresso non si arriva mai al 40% della partecipazione elettorale.

Sfogliando un manuale di scienza politica come quello di Theodore Lowi e Benjamin Ginsberg, vi spiegheranno cosa comporta realmente doversi registrare al voto. In molti stati bisogna presentarsi personalmente e con un discreto anticipo di fronte a un pubblico ufficiale, il quale deve certificare che voi siete voi: dovete fornire prova di identità, residenza e cittadinanza. Ci si può registrare quasi ovunque solo nelle ore lavorative - non tutti possono, di conseguenza – e in alcuni stati va ripetuta regolarmente questa procedura; quest’anno è successo che ci si scontrasse sulla congruenza delle liste elettorali con quelle della residenza in mano alle municipalità: se non corrispondevano, via dalla lista degli elettori registrati e annullamento del diritto di voto. Considerando che i poveri hanno il maggior tasso di mobilità... Lo stesso manuale ci spiega come a votare siano soprattutto i bianchi, i ricchi, i laureati e gli anziani.

Per questo l’assicurazione sulla vita di Obama è rappresentata dai milioni di persone che si stanno registrando – grazie soprattutto allo sforzo della sua organizzazione – tra i giovani, le minoranze e i lavoratori sindacalizzati. Un movimento talmente ampio – 5 milioni di volontari, 3 milioni di singoli finanziatori - che pochi giorni fa Newsweek si chiedeva preoccupato quanto esso potrebbe condizionare il mandato di un ipotetico presidente Obama. Un riflesso condizionato, mosso dalla paura che spesso coglie l’intellighenzia americana.

Ovviamente negli Stati uniti esistono un’altra miriade di fattori distorsivi del processo democratico, in grado di neutralizzare qualsiasi cosa appaia di buono: il potere dei soldi e degli interessi privati; la forte personalizzazione del confronto elettorale e dei meccanismi di funzionamento dell’istituzione presidenziale; la menzogna e la manipolazione come strumento della comunicazione politica ecc. ecc. Per questo però, non c’è bisogno di approfondimento: siamo sufficientemente preparati sul tema anche qui da noi.

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